Grandi Giardini Italiani Srl

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21 Maggio 2021

Giardini come luogo di inclusione sociale

Judith Wade dialoga con Linda Wade, fotografa e graphic designer

JW: Quando e come ha iniziato a interessarsi di giardini?
LW: Nello sfondo dei miei ricordi d'infanzia ci sono i miei nonni giardinieri, ognuno con il proprio stile ed interesse. Se mia nonna paterna si dedicava con cura e dedizione alla coltivazione del suo orto, mio nonno materno, invece, preferiva prendersi cura dei fiori e in particolare di dalie e crisantemi.

JW: Può elencare alcune delle pubblicazioni sui giardini e l'architettura del paesaggio che ha contribuito a realizzare come grafica e come fotografa?
LW: ''Follies of Europe: Architectural Extravaganzas'' e molti altri.

JW: Perché considera i giardini una risorsa per la comunità?
LW: I giardini si presentano in moltissime forme diverse: dai giardini urbani ben tenuti e progettati per soddisfare le esigenze del pubblico, passando dalle piazze con giardini privati recintati - per le quali Londra è particolarmente famosa - fino alle fioriere dei balconi privati: tutti contribuiscono alla creazione di una comunità e a rendere un'area ''verde'', speciale, e a trasmettere quella sensazione di ''cura''.

JW: In qualità di consigliera del Royal Borough di Kensington e Chelsea, quali sono stati i progetti che secondo Lei avranno un beneficio a lungo termine per l'ambiente?
LW: Quelli che hanno portato a supportare i residenti, attraverso un programma di volontariato, teso a migliorare l'area in cui vivono sostenendo, consigliando, e incoraggiando la creazione di una comunità vera e propria: conoscere il proprio vicino li ha portati a prendersi cura delle aree trascurate e a sviluppare un senso di appartenenza al luogo in cui vivono.

JW: Quanto è stato difficile recuperare le aree che erano terra di nessuno? Piantare fiori ha dissuaso le persone ad usarle come discarica?
LW: Si. Una volta identificata un'area, viene generato un piano d'azione, che prevede la pulizia e la preparazione del terreno, e poi la progettazione dell'area di semina con una combinazione di fioriture e ortaggi, cercando di attrarre, nelle aree altamente inquinate, una grande quantità di insetti impollinatori. La prima cosa da fare è quella di cambiare atteggiamento nei confronti della stessa, soprattutto se ha una reputazione consolidata per essere un luogo di discarica. Questo può essere fatto cambiando il colore del muro, o semplicemente creando una routine di raccolta dei rifiuti. Una volta che la vegetazione è ricca e curata, il problema tende a diminuire.

JW: Finora la priorità della spesa pubblica nel settore giardini, si è focalizzata sull'organizzazione e sui costi di manutenzione degli stessi. Ora, invece, si sta cercando di mettere l'accento sull'importanza per la comunità di viverli. Può condividere con noi alcune delle idee che ha realizzato?
LW: Lo spazio, dopo la pandemia, è diventato un bene così prezioso che ad esso è attribuito un valore sempre maggiore. Le comunità sono differenti così come lo sono le esigenze, sia che si tratti di un luogo tranquillo in cui qualcuno si possa sedere e leggere, sia che si tratti di un luogo in cui i bambini giochino in sicurezza. Quindi, qualsiasi spazio, di qualsiasi dimensione, deve essere valutato in base a quale sarà l'aspettativa di utilizzo, chi lo utilizzerà e chi potrebbe essere incaricato di curarne la manutenzione.
E' possibile realizzare aree più piccole come parte integrante di programmi di salute e benessere per incoraggiare la socializzazione in ospedali, case di riposo o centri psichiatrici o, se le dimensioni delle aree verdi lo consentono, possono essere utilizzati come orti, ancora una volta per sostenere la salute e il benessere e fornire la possibilità di interagire con gruppi minoritari (per etnia o età) come parte integrante di una strategia di comunicazione e di contrasto all'isolamento.

JW: Il fatto che lei abbia coinvolto diversi gruppi etnici nell'uso dello spazio pubblico ha aiutato concretamente a riqualificare aree che prima erano trascurate?
LW: I gruppi etnici con cui ho lavorato erano costituiti prevalentemente da donne di lingua araba e provenienti per lo più da famiglie a basso reddito. Per loro, dunque, coltivare insalata, verdure ed erbe ha significato migliorare la loro nutrizione e ridurre i costi per l'acquisto di ortaggi e verdure. A loro piace stare insieme e questo è un ottimo modo per far emergere in maniera casuale i problemi, come quelli relativi alla salute e all'alloggio, e portarli ad essere affrontati ad un livello superiore.

JW: La coltivazione di ortaggi freschi, nel centro di Londra, ha aiutato le persone a seguire una dieta più salutare?
LW: In realtà è molto di più. Si tratta di cercare di includere cibi più sani nella dieta, quindi, in modo indiretto di educare ad una sana alimentazione. Il cavolo riccio, ad esempio, è facile da coltivare, fa bene e puoi inserirlo nelle tue preparazioni. Inoltre, si tratta di insegnare ai bambini da dove proviene il cibo che vedono confezionato.

JW: Sono rimasta affascinata nello scoprire quante persone del posto sono presenti per dare una mano a piantare e annaffiare i giardini pubblici. Qual è stata la chiave per coinvolgerli?
LW: Con i progetti comunitari basta individuare un paio di leader, che assumono effettivamente le redini del progetto. In seguito esso si sviluppa in base alle loro idee - a volte con delle sorprese interessanti - ma funziona perché li rispecchia e non hanno la necessità di imporsi.

JW: Qual è il suo giardino preferito in Inghilterra? Qual è il prossimo giardino che vorrebbe visitare in Italia?
LW: Una risposta molto difficile, ce ne sono così tanti, ma Shute House di Sir Geoffrey Jellicoe è uno dei più interessanti. In Italia, vorrei continuare ad esplorare alcuni tra i giardini della Sicilia, come il ''Giardino del Balio'' ad Erice, ma ce ne sono così tanti tra cui scegliere, che c'è solo l'imbarazzo della scelta.

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Il giardino è specchio della società e del rapporto con la natura; ed è insieme uno spazio mitico, dove con più fantasia e libertà è possibile la collaborazione tra artista e architetto.

- Arnaldo Pomodoro -

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