Grandi Giardini Italiani Srl

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Italy

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13 Settembre 2019

Il sogno di Arturo e di Herta

Monica Lamberti intervista Vittorio Invernizzi, Villa Ottolenghi Wedekind ad Acqui Terme

ML: Quando è diventato proprietario di illa Ottolenghi Wedekind ad Acqui Terme, in che stato era?
VI: Sono entrato in pieno possesso della Tenuta Monterosso e di Villa Ottolenghi nel 2006. Erano anni che ero alla ricerca di un luogo in cui dare vita ad un'attività vitivinicola. Sono nato e cresciuto in mezzo alle bevande: mia madre è stata una delle prime donne industriali italiane negli anni '20 ed io, dopo aver fatto il costruttore ed il progettista, ho proseguito l'attività imprenditoriale nel mondo delle acque minerali. Alla soglia dei sessant'anni ho deciso di buttarmi in una nuova avventura: produrre vino d'eccellenza. Così sono arrivato a Villa Ottolenghi. La prima volta che sono venuto in visita, nonostante la giornata grigia e piovosa, sono rimasto folgorato: non avevo mai visto nulla di così unico e speciale. La precedente proprietà, nonostante tanta buona volontà e tenacia nel cercar di mantenere lo stato dell'immobile e del giardino, poco aveva potuto nei confronti del degrado provocato dal fisiologico invecchiamento delle strutture costruite e vegetali e dall'inesorabile abbandono in cui la Villa aveva versato dalla morte dell'ultimo Conte in poi. Soprattutto il giardino aveva risentito della mancanza di una manutenzione sistematica e costante. Ma con molta pazienza, competenza, ricerca e, soprattutto, amore stiamo riuscendo a ripristinarne l'essenziale bellezza.

ML: La Villa, uno dei più di bei esempi di architettura razionalista di Marcello Piacentini, fu commissionata da una coppia: aristocratico lui, artista lei. Quanto della storia di Arturo Benvenuto Ottolenghi e Herta Von Wedekind zu Horst si respira ancora oggi tra le mura di Villa Ottolenghi?
VI: Villa Ottolenghi è la materia di cui era fatto il ''Sogno di Arturo ed di Herta'', l'espressione tangibile di quello che erano le loro anime. Come dice lei: aristocratico, uomo di finanza e grande imprenditore lui, artista poliedrica e vera ispiratrice di tutta la Storia lei. Non riesco ad immaginare Villa Ottolenghi senza la loro essenza, che è ancora profusa e percepibile in ogni dettaglio. Avremmo potuto, una volta acquistata, cambiarle nome e chiamarla Villa Invernizzi o Villa Monterosso ma abbiamo chiesto il nullaosta agli eredi per poterne mantenere il nome originale. Ci sembrava il modo migliore per onorarne l'impegno e la genialità. A dirla tutta, in effetti, il nome per esteso della dimora è Villa Ottolenghi Wedekind.

ML: Mecenati dagli anni venti fino agli anni sessanta, gli Ottolenghi, nel voler creare un'acropoli per gli artisti, si sono rivolti ad architetti del calibro di Federico D'Amato, Marcello Piacentini, Giuseppe Vaccaro ed Ernesto Rapisardi, pittori e scultori come Ferruccio Ferrazzi, Arturo Martini e Ferdinando Depero, solo per citare i più noti. Oggi qual è la parte della Villa che Lei ama di più e perché?
VI: Io amo ogni singolo mattone di questa dimora ed ogni filo d'erba di questo giardino ma se proprio mi costringe a scegliere direi che la parte che amo di più è il Cisternone. Nato come vasca di raccolta delle acque piovane e dotato di un ingegnoso sistema di pompe di pescaggio era il “cuore” del sistema di irrigazione del giardino soprastante. E' un luogo defilato e poco individuabile in autonomia ma rappresenta la parte più metafisica dell'intera struttura. Ad adornare la vasca c'è un'opera in
bronzo di Herta von Wedekind, il “Nettuno” che fa da contraltare ad una parete massiccia intercalata da spaccature che guardano verso la valle di fronte: un quadro diverso per ogni partitura. Arte nell'arte.
E' un posto molto simbolico ed introspettivo che stupisce chiunque ci passi attraverso: d'improvviso la luce intensa del sole si trasforma in ombra quieta e rinfrescante e il chiacchiericcio delle voci si smorza spontaneamente e tutto diventa pace.

ML: Quante opere sono ancora presenti dopo la nefasta asta del 1985?
VI: Alla morte di Astolfo, unico figlio di Arturo e Herta Ottolenghi, la famiglia si trova nella condizione di dover procedere alla divisione dei beni. Villa Ottolenghi ha dei costi di manutenzione veramente molto importanti ma la determinazione della vedova Caecilia a non voler alienare la proprietà mette in condizione di dover procedere, nel 1985, all'asta delle opere d'arte in essa contenute. Quel giorno, tutto quanto è stato possibile asportare dalla Villa è stato prelevato e venduto. A noi rimangono solo quei pezzi che per dimensioni o per collocamento non hanno potuto essere tolti dalla loro
collocazione naturale: un esempio è il Tobiolo di Arturo Martini che si trova nella vasca centrale del giardino, un altro è il Nettuno di Herta, altri ancora sono i graffiti di Rosario Murabito o gli encausti di Ferruccio Ferrazzi ma, sopra a tutto, il Tempio e tutto quanto in esso contenuto. Purtroppo sono
andate all'asta opere del calibro dei Leoni di Monterosso, Adamo ed Eva (sia il bronzo che la riproduzione in marmo) di Arturo Martini, come tutti gli arredi originali.

ML: Si possono ancora visitare gli studi degli artisti?
VI: Gli studi degli Artisti si trovano dalla parte opposta del giardino e la loro struttura è ancora visitabile. Rimangono parecchie testimonianze del passaggio degli Artisti che venivano ospitati durante il periodo in cui lavoravano alle opere commissionate loro dagli Ottolenghi. Al nostro arrivo, quella era la porzione di proprietà in cui era rimasto tutto come era stato lasciato decine di anni prima. Ricordo che c'erano ancora depositati al piano terreno, pezzi di marmo abbozzati e lastre. Al primo piano vi è l'appartamento in cui soggiornavano gli artisti con le loro famiglie. Attualmente questi spazi ospitano la nostra cantina e l'abitazione al primo piano è diventata una magnifica sala degustazione per i vini che vengono prodotti con le uve delle nostre vigne-giardino.

ML: Sempre attenti ai movimenti d'avanguardia gli Ottolenghi commissionarono a Pietro Porcinai il progetto di un giardino che unisse i vari fabbricati inserendoli nel ricco paesaggio, che presenta tra l'altro un parterre d'ispirazione cubista e un giardino roccioso in stile giapponese. Il costo di manutenzione del verde è davvero così contenuto come avrebbe voluto Pietro Porcinai?
VI: Il nostro giardino ha vinto nel 2011 il ''Primo Premio European Gardens Awards'' come miglior giardino storico esistente. L'impianto è esattamente quello voluto da Porcinai e gli arredi (le grandi poltrone monolitiche girevoli, la piscina, il campo da tennis) sono esattamente come in origine. Le essenze, le fioriture, gli alti fusti sono quelli sopravvissuti e datano ormai più di mezzo secolo. L'immenso prato, per esempio, è ricoperto in buona parte da un'infestante, la nepheta, le cui caratteristiche ci aiutano a mantenere l'altezza dell'erba contenuta. Il progetto di Porcinai prevendeva una conduzione del giardino autonoma per quanto riguarda la rotazione delle messe a dimora. Nella serra ci sono ancora centinaia di piccolissimi vasi che venivano utilizzati per la semina delle varietà stagionali. L'irrigazione era concepita utilizzando esclusivamente l'acqua piovana raccolta nel Cisternone. Sicuramente in origine i costi di manutenzione devono essere sembrati contenuti se si pensa alle dimensioni del giardino ed anche oggi, se vogliamo paragonare il giardino di Villa Ottolenghi ad un altro giardino storico simile, probabilmente, vi è una sorta di “risparmio” garantito, come dicevo, dalla presenza della nepheta, di parecchie piante che non necessitano di particolari potature, da altre di crescita piuttosto lenta e contenuta, ma nel contempo vi sono altre centinaia di operazioni necessarie affinchè il giardino risulti curato e, soprattutto, vivibile.

ML: Da poco è possibile dormire in Villa. Può descriverci le ambientazioni e qual è la sua stanza preferita?
VI: Attualmente abbiamo ristrutturato ed allestito 7 suite: 4 nella parte più antica della Villa e tre nella “manica nuova”, la parte aggiunta più tardi secondo il progetto di Piacentini. Le prime sono state allestite cercando di tener fede alle fotografie dell'epoca mentre le ultime tre sono più d'ispirazione modernista, sia nei colori che negli arredi. Abbiamo mantenuto integre le parti strutturali e tutti gli accessori (lavandini, armadi, boudoir) originali integrandoli con la tecnologia e le comodità tipiche di un relais di charme di massima eccellenza. La mia preferita è sicuramente quella che oggi si chiama “Suite Arturo” ma che in origine era la stanza di Herta e di Arturo. Affaccia su due lati: uno domina la città di Acqui Terme e l'altro il giardino formale di Porcinai. Il pavimento della camera da letto è in marmo verde Alpi di Carrara con al centro un intarsio raffigurante il Tao, simbolo del divenire di tutte le cose. Il soffitto è, invece, un susseguirsi di voltini in mattoni a vista. Ma la cosa più incredibile di tutta la stanza è il bagno: raggiungibile dalla camera da letto attraverso il boudoir della Contessa, è un'enorme spazio tutto in marmo nero Portoro, dal pavimento alle pareti, al lavandino ricavato da un unico pezzo. Quando entro in questo bagno è come se venissi trasportato dalla macchina del tempo in una qualsiasi mattina di un qualsiasi anno del decennio che va dal 1927
al 1937. E quando mi specchio, mi pare strano non vedere riflessa l'immagine di Monsieur Poirot!

ML: Tutto attorno alla proprietà si possono ammirare verdeggianti vitigni. Chi si occupa della produzione del vino e qual è il suo fiore occhiello?
VI: I vigneti che crescono intorno alla Villa sono di nuova piantumazione (purtroppo quando abbiamo rilevato la proprietà, la maggior parte dei terreni era divenuta bosco) ma seguono il disegno originale della vigna-giardino progettata da Porcinai. Le uve di queste vigne sono quelle che utilizziamo per produrre la nostra “cantina” e sono uve di Nebbiolo dalla vigna “Tempio”, Chardonnay e Viognier dalla vigna “Nuova”, Sauvignon
dalla vigna “Kiki”, Barbera dalla vigna “Superiore” e Syrah dalla vigna “Toro”. La produzione di vino la seguo io personalmente con l'ausilio di bravi vignaioli e di un'ottima e selezionata cantina di vinificazione. “Il giardino di Kiki” è il mio fiore all'occhiello: un Monferrato D.O.C. che porta in sé tutte le caratteristiche della sua vigna che è esposta a sud-est. E' un vino luminoso come la luce dell'alba e racchiude un bouquet di fiori e di frutta tipica dei giardini estivi. Lo definirei un vino aristocratico e
gentile nonostante non si lasci facilmente dimenticare.

ML: Quale giardino del network Grandi Giardini Italiani vorrebbe visitare prossimamente e perché?
VI: Personalmente amo i doni di Madre Natura, soprattutto quando vengono magistralmente dominati dall'ingegno dell'uomo ed ho visitato parecchi dei giardini del vostro network. Qualche tempo fa è arrivato a me un libro fantastico che ho sentito, in qualche modo, affine nonostante l'epoca, il contesto e la storia siano così distanti dalla mia. Ma la passione, il rapporto unico ed intimo che lo scrittore ha avuto per tutta la vita con la sua dimora ed il giardino sono molto simili a quello che nutro io per Villa Ottolenghi ed è Villa San Michele ad Anacapri, la casa italiana di Axel Munthe. Ecco, sarà che quella parte d'Italia mi ha sempre sedotto, sarà che leggendo il libro non ho potuto che tornare spesso qui ad Acqui con il pensiero, ma vorrei riuscire a visitarlo prima o poi.

ML: Per finire, vuole condividere con gli amici dei Grandi Giardini Italiani un aneddoto legato alla sua proprietà?
VI: Qui a Villa Ottolenghi, come dicevo prima, nulla è frutto del caso. I Conti, da grandi esteti attenti al particolare quali erano, hanno affidato tutta la decorazione e le lavorazioni in ferro a due fabbri artigiani del posto, padre e figlio Ferrari, così bravi da poter essere considerati alla stregua di orafi. Così per più di vent'anni, i Ferrari hanno lavorato qui in villa, prendendosi carico della realizzazione dei portoni più grandi alle cesellature più minute e raccontando a loro modo, la vita quotidiana della
villa stessa. Sull'inferriata di una delle finestre delle cucine, per esempio, due lumache sembrano uscire dalla bacchetta orizzontale di ferro. A primo avviso non avrebbero nessun motivo per trovarsi lì ma, indagando con l'aiuto di Piero, il vecchio giardiniere della Villa, si è scoperto che le due lumache sono state commissionate espressamente dai conti perché fossero un monito scherzoso alla cuoca che pareva essere tanto brava quanto lenta. Così come si racconta che, durante la realizzazione della
scalinata della Manica Nuova, i Conti avessero commissionato ai Ferrari la balaustra ed il corrimano, entrambi particolarmente elaborati ed arricchiti con sfere di alabastro incastonate negli incroci. Una volta arrivati i marmi di rivestimento dei gradini, si accorsero che i fori in cui avrebbero dovuto essere inserite le bacchette della ringhiera erano sbagliati. Per ovviare al problema, i fabbri, chiusero i fori e li ricoprirono con una serie di animaletti in ferro di cui oggi, purtroppo, restano solo tre tartarughe sul primo gradino. La Villa dal 1979, purtroppo e per le ragioni a cui ho già accennato, è stata
desolatamente lasciata a se stessa ed in parte depauperata dagli oggetti più piccoli e preziosi.

INFORMAZIONI
Villa Ottolenghi Wedekind
Strada Monterosso, 42 - 15011 Acqui Terme (AL) - Tel +39 0144 322177 - Mob. +39 335 6312093 - www.grandigiardini.it

Prossimo evento
FLORACQUI Terme, 14-15 Settembre, dalle 9.00 alle 19.00 (ingresso gratuito)

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- Janet Fitch -

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